Noi definiamo la morte dell’io individuale e la scoperta del corpo!
Il corpo non si possiede. Si vive.
Potremmo anche dire che c’è vita se c’è corpo.
Per questo il corpo è un dono: perché lo doniamo alla vita; senza corpo invece abbracciamo la morte.
Generalmente la gente nomina, riferendosi al corpo, una mutilazione, una sanità, una malattia, una immobilità o mobilità, una disposizione o indisponibilità, ma in effetti noi viviamo il corpo che è quello che è: possiamo semplicemente scegliere l’accadente: il corpo quindi è l’estremità dell’atto, è anche l’avvenimento stesso, è, nel medesimo istante, il precipizio.
Non ci sono i confini del corpo.
Su questa base, il finito e l’infinito, nasce la comunità.
E’, forse, l’essere senza confine.
Nella comunità noi doniamo il nostro corpo.
Siamo, in fine, il sé dell’altro e l’altro del sé.
Non è un accadimento religioso o sacrale ma, bensì, corporale e profano.
Doniamo il corpo alla comunità diventando corpo comune, nessuno potrà più garantire l’immunità.
Noi costruiamo la comunitas e il nostro non è un progetto d’amore ma di guerra: tutto ciò che svilisce, mortifica, santifica, innalza, scavalca, mercifica il corpo lo combatteremo senza tregua.

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